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Intercos mette l’eccellenza al servizio della cosmetica

di Barbara Rodeschini

Sensibilità e visione lungimirante sono alla base del successo di Intercos. Il gruppo beauty fondato nel 1972 a Milano, leader nella progettazione e produzione di cosmetici, è un punto di riferimento globale nella ricerca e sviluppo. Una caratteristica che si riflette anche nell’impegno sociale e sostenibile, dal momento che a luglio il gruppo è stato insignito del Sustainability innovation award della Business school di Losanna. A raccontare a MFF le strategie del gruppo è il fondatore DarioFerrari.

Sostenibilità e social responsibility sembrano essere improvvisamente diventati di moda. Nella sua esperienza come ha affrontato questi temi e quali sono le sfide reali per il vostro business?
Più che di moda parlerei di sensibilità. La sensibilità dei consumatori è cambiata e di conseguenza anche quella delle aziende produttrici che sono riuscite a coinvolgere tutti gli attori lungo la supply chain. Noi abbiamo cercato, e tuttora stiamo cercando, di essere promotori e sensibilizzatori sul tema. Siamo partiti con la revisione dei nostri processi interni, lavorando sulle tematiche del sourcing, di materie prime e di packaging, e dell’impatto ambientale dei nostri impianti produttivi. Inoltre, da sempre prestiamo attenzione ai bisogni dei nostri lavoratori e delle comunità che ci circondano attraverso progetti specifici di inclusione sociale e iniziative mirate. L’obiettivo è sempre quello di creare nuovi prodotti e tecnologie per rispondere alle necessità dei brand e del consumatore finale rimanendo focalizzati sul pensare e sull’essere innovativi.

Intercos è partner dei principali marchi della cosmetica. Quali sono le vostre linee guida sul tema della sostenibilità e quali gli obiettivi da raggiungere?
La nostra forza è costruire partnership solide e durature con i nostri clienti ed essere in grado di collaborare su tutti i fronti. Le multinazionali sono le aziende più demanding per motivi di brading e per l’impatto di scala che grandi realtà hanno sull’ambiente, sulla popolazione e sui consumatori in genere. Reputo che un buon esempio da seguire sia L’Oréal, che si è fatto promotore della sostenibilità e della responsabilità sociale nel mondo beauty. Internamente abbiamo già da tempo creato un team interfunzionale che si occupa di tutti questi temi e che ha la funzione di coordinare tutte le attività in materia e di spingere la comunicazione, la condivisione e il monitoraggio di indicatori di performance che ci permettono di capire dove migliorare e dove invece siamo in linea con le aspettative nostre e dei nostri clienti. Tante sono le certificazioni che continuiamo a ottenere come gruppo e attraverso le quali ci adeguiamo costantemente al cambiamento delle norme di riferimento. Stesse considerazioni valgono per i nostri fornitori nazionali e internazionali, cui richiediamo evidenza della loro sostenibilità e responsabilità sociale.

Il mondo della cosmetica italiana è già impegnato sul fronte del rispetto ambientale e in alcuni territori è forse il più avanzato diventando una best practice da seguire, cosa rende la cosmetica italiana green? Quali sono le sue eccellenze?
Reputo che le aziende italiane abbiano un particolare attaccamento alla propria terra, alla protezione e alla promozione della stessa. Si tratta di credere nelle tradizioni e nel know-how che siamo riusciti a sviluppare col tempo e che cerchiamo costantemente di esportare all’estero attraendo clienti e talenti. Noi ci sentiamo un po’ campioni dell’essere green sin da quando abbiamo acquisito la società Vitalab, che si occupa per esempio di recuperare scarti vegetali e creare nuovi standard nella cura della pelle.

Oggi è più importante essere sostenibili o proporre un modello di business responsabile?
Si tratta di performare in entrambe le direzioni e bilanciare gli sforzi ottenendo un riscontro economico. Noi cerchiamo di lavorare sotto il profilo sociale sostenendo varie iniziative a supporto dei nostri dipendenti e delle comunità che ci circondano, stessa cosa vale sul piano ambientale, dove lo sforzo converge nella riduzione degli sprechi, l’attenzione alle emissioni e alla salute e sicurezza. Sotto il profilo ambientale, abbiamo iniziato a fare importanti investimenti nei nostri stabilimenti così da ridurne progressivamente l’impatto ambientale. Penso all’acquisto di energia prodotto da fonti rinnovabili, all’installazione di pannelli fotovoltaici e di impianti di trigenerazione fino all’utilizzo estensivo di luce al led a basso consumo. Sempre sul tema dell’attenzione all’ambiente, siamo stati fra i primi partner di One ocean forum, organizzato lo scorso anno dalla Fondazione omonima, un momento di condivisione, cooperazione e sensibilizzazione, continuativo nel tempo, dedicato in particolare alla salvaguardia degli oceani.

Quali sono le principali sfide in questo contesto per il Made in Italy?
Le sfide sono legate allo sviluppo di una strategia che sia accettata soprattutto dal consumatore finale. Il Made in Italy è sempre apprezzato, ma se parliamo di sostenibilità e responsabilità sociale non sempre vi è sufficiente informazione che permetta di comprendere cosa questo significhi davvero per un’azienda. Si tratta probabilmente di comunicazione e acculturazione che ridefiniscano i veri need di mercato e le scelte di acquisto dei consumatori.

Quanto pesa l’impegno anche istituzionale nel raggiungimento di questi obiettivi?
Come sottolineavo, la prima cosa da fare è continuare con l’azione di divulgazione dei temi della sostenibilità e della responsabilità sociale. L’opera va continuamente supportata e alimentata sia a livello europeo che italiano, così da consentire all’intero settore e in particolare alle aziende più sensibili al tema di fare davvero la differenza.